Sergio Dalmasso storico del movimento operaio. QUADERNI CIPEC e Altri Scritti
  

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La morte di Mario SOGLIO    Torna alle categorie

La morte di Mario SOGLIO

La morte di Mario SOGLIO.

Il professore, il comunista.

 

Ho ricordato, purtroppo, più volte su questo giornale, la morte di amici, persone che hanno condiviso con me tratti di strada, di scelte e di vita.

La scomparsa di Mario Soglio è, però, ancor più dolorosa e per la stima verso di lui e perché non lo ho più incontrato negli ultimi tre anni.

Lo conoscevo di vista al vecchio Liceo. Insegnava filosofia e storia al corso C, quello che si stava formando all’inizio dell’esplosione della scuola di massa. In un liceo ottimo, ma spesso tradizionale, Soglio era insegnante aperto, colmo di interessi, rispettoso delle idee altrui e felice se riusciva a suscitare interessi, problemi, domande.

Poi la stagione del ’68, del tentativo di cambiamento, dell’esplosione studentesca e giovanile. Al mio ritorno in Cuneo dopo il breve periodo universitario, avevo ritrovato una scuola trasformata, la presenza di gruppi politici di sinistra, la crescita del PCI.

Al PCI Mario si era iscritto, ormai superati i 40 anni, e superata, ma mai dimenticata, la formazione democratica, quasi azionista. Lavorava al partito in cui erano confluiti parecchi insegnati, al circolo Gramsci (erano gli anni dei dibattiti, delle tavole rotonde, delle lunghe discussioni).

Anche noi, più o meno “gruppettari”, lo stimavamo e lo rispettavamo, anche perché rifiutava le scomuniche e gli slogan, perché tentava di rapportarsi e di comprendere posizioni diverse, perché il suo era sempre un ragionamento che partiva da analisi e da schemi logici.

Nel 1980 veniva eletto consigliere comunale, quasi contro la propria volontà. Il partito, a cui non si può dire di no, aveva chiesto a lui, filosofo, di occuparsi di urbanistica ed era stato sorprendente vederlo discutere con competenza e documentazione di piani regolatori, edilizia, leggi complesse. Girava la battuta per cui il fatto che un filosofo si fosse trasformato in un urbanista dimostrava la forza e la serietà del PCI.  In consiglio era evidente il rispetto per lui: quando parlava il solito brusio si trasformava in silenzio e attenzione. Gli assessori scuotevano il capo, ma erano sempre costretti ad annotare e a rispondere. Candidato al Senato si era documentato minuziosamente; i suoi interventi elettorali erano lezioni, sull’economia, la realtà internazionale, la necessità di sostituire la DC al governo.

Poi, quasi inaspettatamente era stato eletto segretario della sezione PCI (qualcun* la ricorda in corso Giolitti?). Un impegno gravoso: il tesseramento, la situazione finanziaria, le feste, le campagne elettorali. In questo periodo la conoscenza precedente si era trasformata in amicizia. Lunghe chiacchierate, discussioni, anche la confessione di amarezze per la cancellazione del marxismo teorico e di valori su cui la sinistra era nata e si era costruita. In una lunga “vasca” estiva sotto i portici di corso Giolitti era nata l’idea di iniziative cultural- politiche comuni : i dibattiti su Marx e il marxismo, il ricordo di Guevara a venti anni dalla morte, scelte che qualche problema gli avrebbero dato nel PCI e per il rapporto con la nuova sinistra e per il loro carattere troppo “teorico”.

Quindi il periodo tumultuoso che avrebbe portato alla scomparsa del “partito”. Da subito Mario era contrario alla scelta di Occhetto. Poi il senso di responsabilità, il timore di una diaspora lo avevano portato a votare le tesi che chiedevano lo scioglimento del PCI e la nascita di un nuovo soggetto politico (il PDS). Sciolto il PCI, però, il suo dissenso verso la svolta era cresciuto. Con sorpresa, ma con gioia, lo avevo trovato, una sera, nella nostra piccola e modesta sede di via Saluzzo dove si discuteva di rifondare una forza comunista.

Poi, le tante iniziative comuni: ancora il marxismo e la sua declinazione, la scuola, la globalizzazione... La fondazione con altri del Comitato per la difesa della scuola pubblica (ricordate il NO al finanziamento alle scuole private?) e la sua breve stagione.

Nel 1994 lasciava la scuola. Con grande delusione per la mancanza di contenuti, di discussione e collaborazione fra gli stessi insegnanti. Andava a vivere sulla collina di Camogli, con splendida vista sul mare, in una villa con giardino.

La scelta, però, non era facile perché comportava il distacco non solamente dalla scuola, ma anche da Cuneo, dagli amici, dai rapporti politici. Ero stato a trovarlo e lo avevo trovato combattuto fra i tanti progetti di studio e il senso di solitudine che la nuova fase della vita aveva aperto.

I contatti si diradavano. Lo incontravo quando tornava brevemente a Cuneo. Non mancava quasi mai una breve visita nella nostra sede con immediata ricaduta nel Che fare politico.

Nel 2002 la sua ultima presenza politica. Spinto anche da alcuni amici (Franco Dini, l’inseparabile Gianni Longhi) aveva accettato di essere candidato nella mia lista “di sinistra” nel tentativo di dare un segno su temi ambientali, sociali, urbanistici, quasi in un appello ai vecchi compagni.

Ricordo il suo intervento, lucido, ma durissimo, alla presentazione dei/delle candidat*, teso a rivendicare dignità alla politica.

Le cose erano andate male. Sconfitta frontale per la lista e pochissime preferenze per lui, ignorato anche dalla stampa locale. Avevo faticato a trovare il coraggio per chiedergli scusa.

Poi ancora Camogli e poi la notizia dalle figlie di un ictus grave, del ricovero per mesi. Poi la notizia che stava meglio.

Alcuni giorni fa, tornando a casa, la sera, alcune telefonate mi dicono che Mario non c’è più.

Ciao professore.

Sergio Dalmasso